Dopo il successo riscontrato alla 78ma Mostra del Cinema di Venezia, dove era candidato al Leone d’Oro ed è valso a Penelope Cruz la Coppa Voli di Miglior Attrice, Madres Paralelas è arrivato nelle sale italiane.
Il nuovo lavoro di Almodóvar indaga il rapporto tra Janis (Penelope Cruz) e Ana (Milena Smit), due donne che si conoscono in ospedale nel reparto maternità. La prima è una quarantenne single, di professione fotografa e incinta di un uomo sposato di cui è l’amante segreta, mentre Ana è un’adolescente rimasta incinta dopo un episodio di revenge porn che ancora non ha ben realizzato. Partoriranno in contemporanea, diventando non solo madri in parallelo, ma anche amiche e alleate contro le difficoltà della vita e dell’amore.
Se il precedente Dolor y Gloria aveva un focus sul mondo maschile, stavolta il regista spagnolo torna alle sue donne e regala parti minori anche a due sue attrici talismano: insieme alle protagoniste, rivediamo infatti Rossy de Palma nei panni della miglior amica di Janis e Julieta Serrano in quelle di una colf.
L’elemento maschile resta il solo Arturo, antropologo forense che oltre ad essere amante di Janis sta lavorando su sua commissione per scoprire dove si trovi la fosse comune nella quale i franchisti gettarono i corpi di suo nonno e degli abitanti del suo paese natale.
Arturo fa quindi anche da cerniera tra due livelli della storia del film: la Storia spagnola, quella dei desaparecidos e delle radici della famiglia di Janis, e la storia privata dei personaggi, che subisce comunque le influenze del passato almeno per certi retaggi ideologici.
Questo doppio livello funziona però a metà: non è molto approfondito, è risolto troppo in fretta nel finale e porta a dialoghi di politica e ideologia abbastanza scontati.
Almodóvar indaga meglio i sentimenti che i pensieri e le relazioni tra i personaggi funzionano per fortuna benissimo.
La coppia Ana-Janis è straordinaria, grazie anche a due prove magistrali delle attrici, con la Cruz che ha meritato il premio veneziano. Il loro rapporto, il loro affetto, le loro difficoltà e le loro ambiguità emergono e coinvolgono, anche laddove la trama porta a colpi di scena che il pubblico in sala aveva capito con largo anticipo.
L’aspetto da psico-thriller del film è infatti un mezzo naufragio, ma anche stavolta c’è un notevole contrappeso sul piatto della bilancia: si tratta dell’incredibile tenerezza delle scene delle madri con le loro bambine, un vero e proprio effluvio di dolcezza e simpatia.
Se la resa del duo Janis-Arturo non è sempre irresistibile (ad esempio, è solo abbozzato il turbamento dell’uomo, che si innamora di un’altra mentre sua moglie rischia la vita per il cancro), funziona di più la relazione tra Ana e sua madre.
Le due donne sono decisamente agli antipodi: Ana è una ragazza casual, si accontenta di lavori umili e nata sua figlia si dedica pienamente a lei. Sua madre, invece, appare sempre elegante, è un’attrice che non ha mai lasciato da parte la sua ambizione e ha sempre messo se stessa davanti a tutto e a tutti.
Eloquente e simbolica è la scena di un colloquio al bar: la ragazza ordina un gelato, la madre un tè caldo.
Ecco, sono questi dettagli, questi simboli che costellano il film a rivelarci che il genio dello spagnolo non si è spento. Il suo tocco non colpisce nel macro, ma cesella benissimo il micro, a partire dal solito perfetto uso dei colori, delle sempre belle musiche di Iglesias e della macchina da presa.
Neppure i nomi sembrano casuali: Janis si chiama così in onore di Janis Joplin, icona della musica morta ventisettenne di overdose, stessa sorte che toccherà proprio alla madre della protagonista. Ana, invece, ha un nome tanto banale che ci si potrebbe immaginare che sua madre non volesse nemmeno perdere tempo a sceglierlo, magari perché impegnata in qualche provino.
Il tocco almodovariano quindi rimane, si sorride (anche se meno del solito), ci si commuove, ci si intenerisce, ma dispiace davvero vedere quanta cura sia stata messa nei dettagli di questa pellicola che invece perde di forza proprio quando si guarda il lavoro d’insieme della sceneggiatura.
Il film rimane comunque bello e da vedere, ma rispetto a Dolor y Gloria siamo qualche gradino sotto.
Recensione di Mattia Gelosa