La signorina Giulia, capolavoro di Strindberg, ha conosciuto un notevole fiorire di riscritture e riletture negli ultimi anni. La vicenda della giovane aristocratica che decide di abbandonarsi alla trasgressione ha avuto, tra le altre, anche una versione sudafricana nel 2013, Mies Julie di Yael Farber, che ha spostato l’azione diciotto anni dopo la fine dell’apartheid e, di recente, anche l’attualissima Julie di Polly Stenham, con Vanessa Kirby, giovane rampolla tossica della Londra bene affascinata dall’aitante autista ghanese.
E’ in scena fino al 23 dicembre sul palco del Teatro Franco Parenti After Miss Julie, il primo allestimento italiano della riscrittura del britannico Patrick Marber. La regia è di Giampiero Solari e gli interpreti sono Lino Guanciale, Gabriella Pession e Roberta Lidia De Stefano. Il cambio temporale è duplice. Se originariamente il dramma di Strindberg si svolgeva nella notte di mezza estate di San Giovanni del 1888, Marber lo sposta alla campagna inglese del luglio del 1945, nel momento della vittoria del partito laburista britannico. Qui la notte è quella del 29 aprile del ’45 in una villa dell’alta società alle porte di Milano e i festeggiamenti sono quelli per la Liberazione dall’occupazione nazifascista. L’allestimento di Solari fa sua fin dall’inizio l’impostazione naturalistica, con una scena che si apre su una cucina da cui esalano profumi e vapori, luogo deputato della cameriera Cristina (la De Stefano) e del fidanzato Gianni (Guanciale) l’autista di famiglia. Sulle note di Sola me ne vo si odono dall’esterno le voci e dei festeggiamenti che accompagnano l’arrivo di Gianni, “vittima” dei primi approcci spudorati e destabilizzanti da parte della signorina Giulia, la giovane padrona di casa. In un gioco voyeristico di contrasti sociali, accentuato dallo stile di Marber (non a caso autore di quel crogiolo di passioni distorte che è Closer) Cristina e Gianni parlano e sparlano della natura selvaggia e capricciosa della bella padroncina, la prima ostentando un’ambigua e necessaria sottomissione dovuta al ceto sociale, il secondo una mal sopita attrazione sessuale. E infatti con l’arrivo di Giulia (Gabriella Pession) dopo le prime schermaglie, Gianni, fatti i suoi calcoli, si abbandona ben presto a una calcolata passione. Un sentimento, tra il vero o il presunto, che si rivelerà solo nel tragico e celebre finale, con Giulia vittima sacrificale delle differenze di classe. Il naturalismo messo in atto da Giampiero Solari, come si diceva, è evidente nell’allestimento scenico ed estetico di notevole raffinatezza. Il piano psicoanalitico è invece innescato con una matrice tipicamente strindberghiana e presenta i personaggi senza abbandonarli al loro destino come avrebbe fatto invece Zola, che infatti non approvava le soluzioni dell’autore svedese, troppo ispirato, soprattutto nella stesura de La Signorina Giulia, dai suoi ricordi autobiografici di figlio di classi sociali contrastanti. Solari lascia che i personaggi mettano in luce i propri caratteri, ma non li abbandona a un realismo di maniera, dando molto peso all’introspezione psicologica. Convince su tutti la prova di Lino Guanciale, che risulta il più efficace e misurato nei difficili cambi di registro. Uno spettacolo che, nella riscrittura di Marber e nell’accurata regia di Solari, riflette Strindberg in tutto e per tutto, ma che attualizzando il testo comporta forse un rischio non calcolato. Alcune reazioni inspiegabili del pubblico, che non recepisce la drammaticità di alcune scene e reagisce con un’ironia e risate assolutamente fuori luogo.