Immaginate una compagnia amatoriale particolarmente scadente, di quelle che prima o poi tutti hanno avuto la sfortuna di vedere in scena. Quelle in cui ogni attore crede di essere Albertazzi redivivo, la prima attrice una dea del palcoscenico, il disegno luci è casuale, la scenografia imbarazzante e la regia è la grande assente. Un budget importante, derivato da un’improvvisa eredità, fa compiere alla Compagnia Amatoriale di Sant’Eufrasio Piedimonte il cosiddetto passo più lungo della gamba: l’allestimento di uno spettacolo ambizioso, che ruota intorno a un misterioso omicidio nella Londra anni ‘20. Ma dalle prime battute l’esile mistery plot scelta per il gran debutto diventa una sorta di circo catastrofico di battute sbagliate o dimenticate, errori, strafalcioni, momenti imbarazzanti, entrate e uscite assolutamente fuori sincrono e soprattutto una scenografia che cade letteralmente a pezzi. Tutto quello che un attore non vorrebbe mai vedere capitare durante una rappresentazione è concentrato in Che disastro di commedia (The play that goes wrong) il capolavoro comico di Henry Lewis, Jonathan Sayer e Henry Shields, nato da nel 2012 in un piccolo teatro londinese e in pochi anni diventato un successo mondiale – vincitore dell’Olivier Awards e del Molière – rappresentato in oltre 20 paesi con l’egida del format originale diretto da Mark Bell. Che firma anche la versione italiana tradotta da Enrico Luttmann, in questi giorni al Teatro Carcano di Milano fino al 13 maggio, interpretata da otto bravissimi attori, che danno vita a uno spettacolo esilarante e notevole per tempi e ritmi comici, da vera slapstick comedy. I personaggi, che sembrano sradicati a forza da un romanzo di Agatha Christie, sono resi ancora più divertenti dalla spassosa caratterizzazione, che ricalca gli stereotipi del giallo inglese. Abbiamo la vittima designata, Charles Aversham (Gabriele Pignotta) che non riesce a trattenere delle reazioni fin troppo vitali; l’ispettore Carter (Marco Zordan), una stralunata figura alla John Cleese, che snocciola ovvietà e inutili indizi; la prima attrice, che interpreta la fidanzata del defunto Florence Collymore (Viviana Colais) e costretta a lasciare la rappresentazione a metà del primo atto per un “incidente di percorso”; Annie, la tecnica di scena (Stefania Autuori) chiamata a sostituirla e più che decisa a diventare di ruolo; Cecil (Luca Basile), l’amante di Florence, nonché fratello di Charles, che non resiste alla tentazione di chiamare l’applauso a ogni entrata in scena; Thomas (Yaser Mohamed) l’esagitato fratello di Florence, coinvolto in rocambolesche e acrobatiche telefonate; Perkins (Alessandro Marverti), il maggiordomo maldestro, che si adatta scrivendo le parole più difficili sulla mano e dimentica intere battute mandando in tilt tutta la compagnia. Deus senza machina Fabio (Valerio Di Benedetto), il povero tecnico luci/suoni tuttofare, che non ne azzecca una ed è persino chiamato a sostituire Annie, infortunata anche lei. Le scene più divertenti? Difficile dirlo, anche perché lo spettacolo genera davvero un fuoco di fila di risate incontenibili. Ma dovendo scegliere, almeno tre: la gag della scena ripetuta all’infinito a causa di un errore di battuta, che costringe i malcapitati a un loop di parole a velocità sempre maggiore e a bere l’acquaragia messa per errore nella bottiglia del brandy; gli inutili tentativi della vittima designata di apparire morto in modo credibile; il crollo graduale delle sgangherate scenografie (per la cronaca sono di Nigel Hook e riprese da Giulia De Mari) che decreterà l’annunciato disastro. Bando comunque agli spoiler. Che disastro di commedia è davvero una macchina comica perfetta ed è per questo altamente consigliata.
