Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è lo spettacolo più visto della storia dell’Elfo Puccini dal suo debutto nel dicembre del 2018, con più di 20.000 spettatori collezionati anche nel corso delle tournée. Quello che ormai si può definire un classico di Bruni-De Capitani segna una ripartenza in grande stile insieme agli altri titoli in cartellone. Da notare che con questo testo, tratto dal romanzo best seller di Mark Haddon, Simon Stephens ha vinto sette Laurence Olivier Awards nel 2013 e quattro Tony Awards nel 2014.
Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte è uno di quegli spettacoli ad immersione totale in un mondo sconosciuto ai più, ma reso in scena con un’atmosfera sempre in bilico tra la tensione drammaturgica e una leggerezza magica, tutta particolare.
La pièce racconta la storia apparentemente ordinaria del quindicenne Christopher Boone (Daniele Fedeli), che, tornando a casa da scuola, scopre che Wellington, il cane della vicina, la signora Shears (Debora Zuin), è stato ucciso con un forcone. Dopo aver subito l’interrogatorio di un poliziotto (Marco Bonadei), Christopher diventa ossessionato dall’idea di trovare l’assassino del cane, nonostante le tante, forse eccessive, obiezioni del padre Ed (Davide Lorino).
La particolarità della storia risiede nella complessa personalità di Christopher, che mostra fin dal suo ingresso in scena comportamenti riconducibili a un disturbo dello spettro autistico. Si scopre così che il ragazzo frequenta una scuola speciale e ha una serie infinita di manie e ossessioni, che scandiscono la sua routine quotidiana: ha un’incredibile passione per la matematica e la fisica, non mangia cibi diversi se vengono a contatto l’uno con l’altro, odia il giallo e il marrone, ama nascondersi negli spazi chiusi, non sopporta che i mobili di casa vengano spostati, non riesce a interpretare l’espressione degli altri e infine suoni, luci o contatti fisici troppo bruschi gli inducono dei veri e propri attacchi di panico.
Il mistero che ruota attorno all’uccisione di Wellington risveglia in Christopher un interesse metodico per tutti gli indizi relativi caso. Incomincia così, su invito della sua insegnante Siobhan (Elena Russo Arman) a raccoglierli in un libro, spostando gradualmente l’attenzione su alcuni aspetti della sua vita che non risultano del tutto chiari, come la presunta morte della madre (Ginestra Paladino) e lo strano comportamento del padre, sempre in bilico tra genitore amorevole e guardiano iper-protettivo. Lo scardinamento degli unici punti fermi della sua quotidianità lo condurranno a intraprendere con coraggio imprese e azioni fino a quel momento a lui precluse.
L’allestimento diretto da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani mette in risalto la qualità e il ritmo della drammaturgia di Stephens, cogliendone l’aspetto da thriller psicologico, che emerge in modo impeccabile nello studio dei personaggi a cui è affidato il racconto, che nel romanzo è invece prerogativa della sola voce del protagonista. Un gruppo di attori di livello altissimo – Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Nicola Stravalaci e Alessandro Mor completano il cast già citato – in cui spicca la prova superba di Daniele Fedeli, che tratteggia una psicologia fragile in modo sottile e imploso, anche nei momenti di maggiore drammaticità. Una presenza vera e proprua rappresenta sicuramente l’uso della scenografia di Andrea Taddei, costruita attraverso tre schermi su cui poggiano le sorprendenti video proiezioni di Francesco Frongia dei bellissimi disegni di Ferdinando Bruni. Un racconto nel racconto, che scava nell’animo del protagonista attraverso composizioni numeriche e forme del quotidiano moltiplicate, stilizzate, deformate. Un punto di vista “altro” affascinante e ben simboleggiato dalle maschere inquietanti con cui Christopher identifica i compagni del suo viaggio iniziatico, che si concluderà in un modo inaspettato e non privo di speranza.
La foto di scena è di Laila Pozzo