Una notte buia e tempestosa, una sala prove e un regista alla ricerca della sua attrice. E’ lo stesso regista Valter Malosti alle prese con i provini dell’interprete ideale, di colei che dovrebbe impersonare Wanda Von Dunayev, l’anti-eroina del romanzo erotico per eccellenza, Venere in pelliccia, l’opera di Sacher-Masoch di cui ha curato l’adattamento. Orma è sera inoltrata quando gli si presenta l’ennesima ragazza, che insiste per fare l’audizione. Un modello femminile che è esattamente agli antipodi di Wanda. Volgare nei modi, nell’abbigliamento, con una parlata scurrile e imbarazzante, sembra più adatta a uno spettacolo fetish che a una pièce teatrale. Eppure per uno strano scherzo del destino la ragazza si chiama proprio Vanda e, dopo alcune grottesche e tragi-comiche esitazioni, si lascia andare a un’immedesimazione completa nella protagonista. Vanda non interpreta Wanda, è Wanda. Come in uno gioco schizofrenico, passa con disinvoltura dai registri grevi e volgari con cui si è presentata alla raffinatezza, sensualità e leggerezza di toni della nobildonna austriaca. Il suo interlocutore è lo stesso Malosti nel ruolo di Severin, il protagonista del romanzo di Sacher-Madoch. Dapprima stupito dalla totale identificazione dei due personaggi, poi affascinato suo malgrado e infine totalmente soggiogato. Vanda si insinua sempre di più in una realtà mista a finzione e quello che era iniziato come un semplice duello letterario tra i due sessi diventa progressivamente un massacro in cui Malosti è preda e Vanda carnefice. Una dea pagana, una vendicatrice dell’ideale femminile o una vera attrice? Nessuna soluzione per il regista e il pubblico. Solo una misteriosa inquietudine che ci accompagna in modo molto poco rassicurante nei meandri oscuri della mente.
Valter Malosti alle prese con Venere in Pelliccia, il testo di David Ives (qui nella traduzione di Masolino D’Amico) ispirato al celebre romanzo di Sacher-Masoch, dà vita a uno spettacolo affascinante e ipnotico anche se, come si diceva, piacevolmente inquietante. Molti ricorderanno la versione cinematografica di Venere in Pelliccia diretta da Roman Polanski, ma è decisamente inutile fare raffronti, anche per la diversità del contesto cinematografico e teatrale. Malosti esegue una regia impeccabile e naturale che si addentra nel quotidiano di una sala prove, di una reale audizione e nella prospettiva di un’attricetta in cerca di ingaggio. Sta poi al testo il potere sovversivo di invertire l’ordine delle cose e di mostrare l’intensa prova attoriale di entrambi i protagonisti. Valter Malosti passa, come in una trance teatrale, dal ruolo autorevole di regista a quello di vittima ed emulo di Vanda in improbabili panni femminili. Sabrina Impacciatore sorprende per la duttilità e la facilità con cui riesce ad alternare i toni dei due archetipi.
Già acclamato nelle passate stagioni, Venere in pelliccia – che è tra l’altro valso il Premio Flaiano a regista e interprete femminile – è andato in scena al Teatro Carcano di Milano dal 25 gennaio al 4 febbraio.