venerdì, Settembre 22, 2023

“Qualcuno volò sul nido del cuculo”, viaggio nel valore immortale della follia

Colpisce come un pugno ben piazzato la versione teatrale di Qualcuno volò sul nido del cuculo  – nella traduzione di Giovanni Lombardo Radi e adattata da Maurizio de Giovanni – diretta da Alessandro Gassmann prodotta da Teatro Di Napoli – Teatro Bellini. E lo fa in modo filologicamente corretto, basandosi sí sulla riduzione teatrale realizzata da Dale Wasserman a partire dal capolavoro di Ken Kesey, ma riportando la storia a una gigantesca  – e mai aggettivo fu più indicato – soggettiva del personaggio di Bromden, qui ribattezzato Ramón, voce narrante del romanzo. Spogliandosi del timore reverenziale del celebre film diretto da Milos Forman con Jack Nicholson mattatore assoluto, Gassmann trascina lo spettatore nel buio di un istituto di salute mentale dei primi anni ottanta in quel di Aversa, in bilico tra lo squallore fisico del luogo e una dimensione onirica, perfettamente rappresentata da un velatino posto davanti al boccascena, sui cui sono proiettati, tramite le videografie di Marco Schiavoni, i riferimenti inconsci dei personaggi. 

L’impianto scenografico di Gianluca Amodio riproduce con asciutta drammaticità  gli spazi della storia, la sala di conversazione terapeutica dei malati Acuti, la stanza dei bottoni della capo infermiera, il bagno che si retroillumina e lascia intravedere scorci di varia umanità e la galleria sovrastante, con gli alloggi dei malati Cronici, di cui si intuisce la presenza attraverso suoni primitivi e le mani appoggiate ai vetri. 

La scelta registica di avvicinare geograficamente e temporalmente  la vicenda crea una naturale empatia con il pubblico, anche grazie alla notevole interpretazione di un gruppo di attori, perfetti nel loro incarnare dei caratteri, senza rimanere intrappolati nel manierismo e soprattutto essere debitori degli interpreti cinematografici. Senza dubbio al protagonista Daniele Russo va il compito più difficile, ovvero far dimenticare l’istrionica interpretazione di Jack Nicholson. Compito che gli riesce pienamente trasformando Mc Murphy, il delinquentello di origine irlandese che si finge pazzo per accorciare la pena carceraria, nel pregiudicato napoletano Dario Danise, accomunato dalla medesima carica di simpatia, ma con un impasto di emozioni molto mediterraneo, che non guasta alla tensione della storia. “Quando uno non è abbastanza forte deve fare finta di esserlo” confida Dario a Ramón (Gilberto Gliozzi), il gigante latino americano, che si finge catatonico per sopravvivere alle angherie dell’istituto. Angherie perpetrate dalla terribile capo infermiera italianizzata in Suor Lucia, interpretata con glaciale perfidia da Elisabetta Valgoi , che impone la sua personale visione di terapia psichiatrica attraverso reiterate cure punitive ai danni dell’intero  gruppo di Acuti, caratterizzati in modo perfetto da Mauro Marino, Giacomo Rosselli, Emanuele Maria Basso, Alfredo Angelici, Daniele Marino, Gilberto Gliozzi, Davide Dolores, Antimo Casertano, Gabriele Granito. Unica presenza femminile “buona” e quasi materna Gaia Benassi, interprete del doppio ruolo di un’infermiera e della prostituta introdotta in istituto da Dario. Se, come è noto, la miccia di ribellione accesa da Dario negli Acuti gli sarà fatale, la speranza di libertà e comprensione dei malati è destinata a vivere nella fuga finale di Ramón, simbolicamente proiettato in fattezze gigantesche nell’atto di distruggere la statua religiosa emblema del potere assoluto di Suor Lucia. Un’emozionante metafora sottolineata anche dalle belle musiche di Pivio & Aldo De Scalzi su ogni tipo di repressione ai danni di chi è diverso e non omologato alla moralità inerte del mondo contemporaneo.

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