E’ una vita lunghissima, dolorosa, ma anche piena di “aventure” quella di Vincenzo Rabito, bracciante siciliano semianalfabeta, un ragazzo del ‘99 nato a Chiaramonte Gulfa, in provincia di Ragusa e vissuto tra le due guerre. Eppure scorre rapidissima sui tasti della sua Olivetti, nei sette anni – dal 1968 al 1975 – in cui si chiude in una stanza per raccontare in più di mille e ventisette pagine una vita fatta di continue lotte, mescolando italiano e siciliano, come in un mantra narrativo separato solo dall’ingenuità di un punto e virgola. Terra Matta, questo il titolo delle memorie, edite da Einaudi solo nel 2007, molti anni dopo la morte di Rabito, diventa in breve tempo uno dei libri più venduti in Sicilia
Quelle stesse parole che ha raccolto Rosario Lisma di nuovo sul palco del Teatro Fontana a raccontare una selezione di brani del libro, intervallati da alcune canzoni popolari con l’accompagnamento musicale di Gipo Gurrado. Il tutto si è svolto in quattro serate dal 15 al 18 ottobre. Dalla misera infanzia dell’autore fino alla Grande Guerra; l’avvento del fascismo, la campagna d’Etiopia, la Seconda Guerra Mondiale, l’esperienza come minatore in Germania e il difficoltoso ritorno in Italia; il boom economico, la contestazione politica e la vecchiaia. Ha concluso le repliche una maratona finale dei tre reading.
Ricalcando lo stile violento e struggente di Terra Matta, Lisma crea letteralmente il mondo di Rabito, con una sincera partecipazione che colpisce al cuore. Si evoca così la sua misera e sfortunata esistenza, caratterizzata da una disarmante sincerità, che lo fa oscillare tra credi politici opposti – il socialismo e il fascismo – la ricerca di protezioni illustri e l’ostinato desiderio di migliorare una vita “molto maletratata e molto travagliata e molto desprezata”. Per Rabito i fatti storici sono meri accessori, proprio come le canzonette che intermezzano la lettura, in cui spicca, nell’allestimento del Fontana, una Faccetta nera particolarmente potente e accusatoria nei confronti del regime. Rabito è travolto come altri da un credo politico che non gli appartiene, ma a cui fa spallucce e si adegua, rotolando in una valanga di eventi che racconta con precisione maniacale. Uno sguardo attonito, che può sembrare freddo a una lettura sommaria e profana, ma che Lisma ha la capacità di far affiorare in tutta la sua disperazione, a volte tragicomica, come gli approcci con le donne sotto i bombardamenti in Germania, quando “si poteva fare quello che ci faceva comito, e piacere si ne passava” fino alla tenerezza per la notizia della nascita del figlio Salvatore. Un’emozione, che traspare certamente dalla parola, dal canto, dalla musica – di rilievo l’apporto in tal senso di Gipo Gurrado – e dal gesto, ma soprattutto dalla capacità di creare una magica empatia con il pubblico.